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Tra calcio e sneakers: perché un giovane può studiare Tommaso d'Aquino?

Immagine del redattore: Domini CanesDomini Canes

Quando ero molto piccolo, due eventi per me furono tragici e determinanti. Uno ha a che fare con il calcio, l’altro con la scelta di un paio di scarpe. Cosa c’entra tutto questo con Tommaso d’Aquino? Sarà ben presto spiegato.



Ricordo benissimo quando giocavo a calcio nel mio parco, in provincia di Napoli, assieme a tre miei carissimi amici, con i quali passavo giornate lunghissime. Io vantavo, nelle mille statistiche che facevamo su goal, assist e dribbling, il primato sui dribbling e assist, ragion per cui mi ritenevo un’eccellenza del calcio e ci prendevamo davvero sul serio. Quando feci la mia prima esperienza nei campi di calcetto a otto anni, mi crollò un mondo. Ero davvero uno tra tanti. Non ero unico, non era unico il mio pensiero, non era giusto ciò che pensavo di me da me stesso.


Il secondo evento tragico/determinante accadde in un negozio sportivo. Stavo decidendo il colore delle scarpe, nel decidere, mormoravo tra me e me il fatto che le scarpe rosse erano davvero belle, ma che andavano bene solo su pochi panni. Ed è per questo che ho, da allora, quasi creato un feticcio per le scarpe bianche, solo in pochissimi casi nere. Le bianche mi rendono sicuro del fatto che ci può star bene tutto sopra. Ora tutto ciò mi è servito per arrivare allo studio di san Tommaso. Vi chiederete come?


Ebbene, grazie alla prima esperienza avevo capito che il mondo fosse prima di me: in qualche modo avrei dovuto scontrarmi col mondo perché di fatto, alla fine, c’è bisogno di un’armonia logica tra il soggetto che dice il reale, e il reale nella sua costituzione. Il metodo giusto per capire che il mondo è prima di noi, è aprire le orecchie, spalancare i sensi argutamente a ciò che siamo nel contesto che viviamo. Cosa/Quanto/Chi siamo nel/per/con il mondo? Saper soprattutto leggere le nostre azioni non per forza dal nostro punto di vista, ma anche dal punto di vista degli altri. Così saremo propensi e anche responsabili nell’agire. Il mondo e i suoi stati (Ontologia) per prima, cautela nel giudizio, e apertura all’altro. Il secondo evento mi ha fatto pensare anni dopo anni, una mia tendenza a preferire cosa che potessero contenere o essere in armonia con molte altre: la generalità. Ecco, questi sono insegnamenti che ho trovato in Tommaso.



Quando ho letto per la prima volta il frate domenicano, ho notato subito una cosa: una costante citazione di altri filosofi, un costante rimando ad Aristotele, ai suoi commentatori, ai commentatori dei commentatori, ebrei, musulmani, cristiani, atei o naturalisti, medio oriente, Italia, Francia, Inghilterra. Tommaso ha vissuto questo nella gioventù napoletana: il suo maestro era un irlandese (Pietro d’Irlanda) che spiega a Napoli la metafisica del “greco pagano Aristotele” col commento del musulmano Averroè tradotto prima a Toledo poi a Palermo dall’arabo al latino da uno scozzese (Michele Scoto commissionato da Federico II). No dico, ve ne rendete conto? Capite che apertura mentale? Capite che studi globali? E questo per i giovani è essenziale, lo è stato molto per me. Occhi e orecchie lontani da qualsiasi pregiudizio, ma pronti all’ascolto. Tommaso questo ci insegna, ad ascoltare tutti, a prescindere dai vissuti diversi. La verità da chiunque detta è frutto dello Spirito Santo.


Per quanto riguarda il secondo punto, personalmente, uno studio di Tommaso, in special modo dell’impalcatura metafisica, dà le basi per affrontare qualsiasi discorso. Usando una espressione di fr. Giuseppe Barzaghi, Tommaso con la metafisica dà il minimo indispensabile per il massimo possibile. Chi studia Tommaso si accorge subito che è il principio a dar vita ai principiati, e che ogni parte di mondo non è tale senza un principio che lo causa. Il principio è in netta armonia col tutto almeno quanto le scarpe bianche, possibilmente sneakers, con gli indumenti. Il minimo indispensabile per il massimo possibile.


Pasquale Viola

studente di Filosofia presso l'Angelicum


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