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perché discuterne è domenicano

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  • Immagine del redattoreDomini Canes

Segni tangibili della Sua paternità

Mi capita di pensare ai papà, specialmente quando vedo immagini o fotografie di una crisi che sembrava passata e che invece è ancora qui. Immagino la fatica, la dedizione, le delusioni, i dolori e le gioie di chi sta facendo il possibile per il bene di tutti. Mi torna alla mente san Giuseppe, il padre putativo di Gesù: quanta fatica e quanto amore per Maria e per quel figlio così speciale. E così davanti alle immagini dei papà di ieri e di oggi, di quelli santi e di quelli un po' meno, mi vengono tanti pensieri.

Le conseguenze della pandemia pesano sulla nostra gente, sul nostro popolo, e tanti cercano di fare del proprio meglio pur fra mille difficoltà: tanti papà e tante mamme, tanti nonni e tante nonne, religiosi e religiose, senza contare tutti coloro che faticano giorno e notte per il bene comune. Eppure il peso c'è e si fa sentire sempre di più.


C'è stato ultimamente un avvenimento che mi ha toccato particolarmente. Mi trovavo in basilica davanti la statua della Madonna del Rosario, quando mi si avvicina un uomo sulla sessantina chiedendo di potermi parlare un secondo. Mi dice di esser venuto a chiedere l'intercessione di sant'Antonino, mi parla della sua famiglia, di come sua figlia sia in grande difficoltà, e con voce spezzata mi domanda di pregare per loro. Colpito, gli dico che certamente lo farò ma che le mie preghiere – forse glielo dicevo per sentirmi meno coinvolto nel suo dolore – valgono tanto quanto le sue. Ed è allora che mi ha colpito: "Padre, io so che il Signore la ascolta". Lì ho percepito quanto la sua fede fosse di gran lunga più grande della mia.


In quella frase breve, sicura e sincera, ho visto un uomo farsi umile davanti al mistero di Dio. Gli ho sorriso con gli occhi – eravamo tutti e due con la mascherina –, gli ho dato una leggera pacca sulla spalla, dicendogli: "Va bene, prego per voi. Vi accompagno". La sera stessa, senza che me lo avessero chiesto, ho offerto la santa Messa per loro, in loro presenza.


Ho già scritto qualcosa sul tema della paternità domenicana ma sento che questo incontro è stato provvidenziale, come una preparazione a ciò che stiamo vivendo ora. Mi capita di incontrare persone che parlando si commuovono, eppure questa volta per me è stato diverso.


Quell'uomo, senza saperlo, mi stava ricordando chi ero io per loro: un sacerdote e un padre. Io, giovane sacerdote domenicano, senza neanche averlo mai visto, ero per lui un padre, perché sacerdote. È un mistero grande, anche – o forse soprattutto – per me, ma credo sia un po' il riflesso della vita cristiana: Dio, che è Padre, affida i suoi figli alla cura dei suoi presbiteri (che tradotto significa "anziani"), ai suoi sacerdoti, perché questi siano non sono canali della grazia divina, ma anche segno tangibile della Sua paternità.


In tempi in cui la crisi si riaffaccia con prepotenza, credo che noi sacerdoti, ministri e servi di Dio, siamo chiamati a vivere una più intensa paternità nei confronti di coloro che il Padre ci affida, giovani e adulti, specialmente verso quelli che attraversano periodi bui, senza tirarci indietro di fronte al male che avanza, ma accompagnando il Suo Popolo durante questo tratto difficile del pellegrinaggio terreno.


Anche noi a volte abbiamo timore e paura, eppure con il sacramento dell'Ordine sacro ci è stata donata la grazia e il compito di prenderci cura del gregge di Dio, dei suoi figli e delle sue figlie. È a loro che ci è chiesto di dare la nostra attenzione, il nostro tempo, la nostra cura, come fa un padre specialmente quando le cose sembrano andare particolarmente male.


fr. Fabrizio Cambi, O.P.

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