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perché discuterne è domenicano

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Immagine del redattoreDomini Canes

Se la storia di una delle prime monache domenicane ha tanto da dire

Quando mi è stato chiesto di scrivere qualche riga sulla b. Diana degli Andalò, sono partita ponendomi una domanda: cosa ha da dire oggi una donna vissuta ottocento anni fa? Può essere ancora attuale?

Innanzitutto chi è Diana? Diana è una nobildonna bolognese che, a un certo punto della sua vita, incrocia nel suo cammino i frati dell’Ordine dei Predicatori. Resta così colpita dalle parole pronunciate in un’omelia che decide di cambiare vita, di abbandonare il lusso e la sua condizione, per incarnare nella sua vita l’ideale domenicano. Incontra così san Domenico e, come dicono le fonti, “si rimise nelle sue mani”.


Un’immagine bellissima e per me personalmente molto importante, perché indica la decisione di affidarsi ad un altro con fiducia, perché ti sia guida e maestro nel cammino. Ecco il primo invito che Diana ci porge oggi: non avere paura di farti accompagnare, di porre le tue mani nelle mani di un altro.


Diana, incontrando l’opposizione dei genitori alla sua scelta, scappa di casa e si rifugia nel monastero benedettino di Ronzano, da dove verrà strappata con la forza, causandole la frattura di due costole. La convalescenza durerà un anno, durante il quale Domenico stesso le manda lettere di nascosto. Un bellissimo segno che ci indica la grande sensibilità del nostro fondatore, che si prende cura, anche a distanza, della sua figlia amata.


Diana scappa una seconda volta di casa e, questa volta, i genitori la lasceranno libera di seguire la sua strada, il suo sogno. Mi colpisce questa tenacia di Diana di inseguire il suo sogno, che poi è il sogno di Dio. Ed ecco il suo secondo messaggio: non avere paura, oggi, di credere nel tuo sogno e di metterci tutte le tue forze per raggiungerlo.


Mi vengono in mente le parole di una mistica francese contemporanea, Marthe Robin, che dice: “Ciò che Dio chiede, lo dona”. Se avvertiamo nel cuore un desiderio, un sogno, che provengono da Lui, certo Lui ci donerà anche tutta la Grazia e la forza per compierli! Perché se Dio mette nel cuore sogni e desideri grandi, dona anche la forza di attuarli.


Nel frattempo Domenico muore, ma Diana non rimane sola. Il successore di san Domenico, b. Giordano di Sassonia, si prende cura di lei, e tra loro sboccia una meravigliosa amicizia, di cui è testimonianza un ricco e profondo epistolario, di cui ci sono pervenute solo le lettere di Giordano. Vi troviamo espressioni di amore puro, di sostegno, di amicizia spirituale profonda, di confidenza. Questa è la bellezza del nostro Ordine: l’amicizia che ne lega i vari rami, la complementarietà tra maschile e femminile. Non siamo isole ma siamo comunione di persone unite nello stesso Padre.


Diana ha ascoltato direttamente le parole di Domenico e di Giordano, le ha incarnate, è stata monaca domenicana. E come monaca ha vissuto con un cuore grande, aperto al mondo e alle sue esigenze. Non si è “rinchiusa” in un monastero per sé, ma ha allargato il suo cuore facendone una culla per ogni uomo, esercitando in pieno il suo essere donna in una maternità spirituale che non ha confini. E la maternità spirituale è innanzitutto questo prendersi cura, questo non vivere più per sé stessi ma per quei figli che vengono affidati. E in questa missione non è stata sola. Unita ai frati come fossero “un cuor solo e un’anima sola”.


Ben si addicono le parole che, molti anni dopo, la nostra laica domenicana e serva di Dio Tilde Manzotti, esprimerà a fr. Antonio Lupi op: “Le anime che avranno te per padre avranno me per madre”. Unione in una missione comune, paternità e maternità inscindibilmente unite. Diana ha vissuto questo fino in fondo e ancora oggi il suo messaggio risuona: non abbiate paura di affidarvi, di inseguire il vostro sogno e di vivere l’amicizia… perché dall’unione dei cuori nasce una misteriosa e meravigliosa fecondità.


sr. Paola Diana Gobbo, O.P.

Monastero domenicano di S. Maria della Neve e S. Domenico

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