top of page

BLOG E ARTICOLI

perché discuterne è domenicano

Cerca
  • Immagine del redattoreDomini Canes

S. Tommaso: patrono degli studenti e modello di pastorale giovanile

Aggiornamento: 26 ago 2021

Il 13 novembre di ogni anno l’Ordine domenicano ricordava il «Patrocinio di S. Tommaso d’Aquino sulle Scuole Cattoliche», mediante solenni celebrazioni con grandi affluenze di professori e studenti.

Una ricorrenza, dunque, tutta domenicana che affondava le sue radici già nel breve Cum hoc sit (4 agosto 1880) di papa Leone XIII, con il quale – a seguito della richiesta di molti Vescovi cattolici, allo scopo di combattere gli errori dei sistemi filosofici nati in quei tempi, e di procurare il progresso della scienza cattolica – proclamò S. Tommaso d’Aquino patrono di tutte le scuole cattoliche. E il Papa Pio XI, nel 1923, istituì e concesse all’Ordine dei Predicatori una festa sotto questo titolo, per il giorno 13 novembre, così solenne che era liturgicamente trattata col grado di “tutto doppio di I classe”: solennità, diremmo oggi.


Tuttavia, con la revisione del Santorale del nostro Ordine a seguito delle direttive della riforma liturgica del Vaticano II, questa ricorrenza non figura più nel Calendario liturgico. Quella «ei fu» festa – per usare il proverbiale incipit manzoniano al 5 maggio in morte di Napoleone –desiderava certamente celebrare la preziosità di un San Tommaso che è Maestro di Sapienza e di Verità e intercessore per i tanti studenti e giovani impegnati nello studio, ma anche nella ricerca di senso. E tutto questo era naturalmente reso sempre “attuale” perché inserito nella Santa Messa, il memoriale della Passione, Morte e Risurrezione del Signore, che attualizza il Sacrificio di Cristo e riattualizza anche la memoria dei Santi, ricolmati e rivestiti di un manto di gloria («stolam gloriæ induit eum»), come cantava l’introito di quella Messa.


È certo che il patronato di San Tommaso per studenti e giovani certamente rimane; tuttavia ho pensato di rievocare l’“attualità” di questa festa ormai soppressa richiamando la Liturgia di quella Messa e cercando di inserirvi una riflessione più ampia menzionando alcuni «consigli» che Tommaso stesso, in pieno ’200, scrisse in risposta a un certo frate Giovanni, che l’aveva interpellato su come «applicarsi allo studio per acquistare il tesoro della scienza».

Con il suo metodo, infatti, e la profondità del suo pensiero, Tommaso può e dev’essere considerato ancora il grande maestro della formazione! Indubbiamente egli lo è per la sacra doctrina, la teologia, la scienza di Dio, ma lo è anche nella semplice formazione allo studio. E se oggi, alla sua Scuola, i giovani studenti di teologia sono suscitati sempre più da vivo interesse ed entusiasmo, non per questo penso che non debba essere così, ugualmente per qualunque studente o giovane, immerso in una società che bada molto ai fenomeni, alle provvisorietà, al vivere alla giornata, nell’incertezza del domani; al contrario, questo Gigante della fede è libero dalla tentazione di partire da un dubbio strutturale sul reale, ma, da uomo di Dio e vero teologo, parte proprio dalla certezza della fede. Non è forse vero che è proprio tale fortezza del pensiero che i giovani cercano tra le loro “guide”?


Il programma-chiave per la formazione nello studio, lo annuncia all’inizio di quei consigli al giovane frate: «Non voler entrare subito in mare, ma arrivaci attraverso i ruscelli, perché è dalle cose più facili che bisogna pervenire alle più difficili». Lo studio efficace, oltre ad essere arricchimento scientifico e necessaria acquisizione di conoscenze razionali, forma nella conoscenza di sé, del proprio spirito, tramite la comprensione della verità, e, in ultima analisi, della Verità di Dio. Tuttavia, non si può conoscere ‘tutto e subito’ sulla matematica, sulla tecnica, sulla letteratura, sulla stessa teologia, ma assaporando ogni aspetto, partendo dai fondamenti.


E qui San Tommaso si è distinto sia in ambito teologico, dottrinale, esegetico e metafisico, e, mediante la solidità del suo realismo ha permesso la chiara e trasparente strutturazione sia della teologia che della filosofia, aprendole alla sana razionalità, nell’orizzonte del principium, del fundamentum. Ecco perché il Dottore Angelico non è “uno tra i tanti”, ma “il primo di una lunga serie” che ha dato le “fondamenta” di una teologia rigorosa e “vera”.


«Voglio che tu eviti i discorsi inutili; abbi purezza di coscienza», continuava. Questo vuol dire crescere sempre nella sapienza, che non è il risultato di una corsa per la conquista di ottimi voti, o una gara tra giovani a chi ne sa di più su temi o gossip del momento. È la Sapienza divina, che Tommaso ha sempre amato e cercato mediante la conoscenza, erudizione, saggezza; in una parola, la “sua sapienza”, di cui la Chiesa oggi ne gode, anzi (proprio come si pregava nell’orazione di Colletta della Messa) è Dio stesso che «mira eruditione clarificas, et sancta operatione fecundas – illustra con la scienza meravigliosa (del beato Confessore Tommaso) e la feconda con la sua santa opera».

Difatti un altro consiglio di Tommaso è: «non trascurare la preghiera; ama il raccoglimento; sii cordiale con tutti; non essere curioso dei fatti altrui; non avere eccessiva familiarità con alcuno, perché essa genera disprezzo e dà occasione di trascurare lo studio, non divulgare su tutto». Qui la sua raccomandazione che sembra chiudersi all’‘altro’, in realtà vi inserisce l’ottica della sana amicizia culturale e spirituale, giacché l’amicizia vera deriva e si consolida in Dio. E l’epistola della Messa non poteva che essere tratta proprio dal libro della Sapienza (cap. 7); e se si apriva con la preghiera per ottenere la prudenza, alla fine si chiudeva con l’affermazione che la Sapienza stessa è «tesoro infinito» e «qui usi sunt, participes facti sunt amicitiæ Dei – quelli che ne fanno uso diventano partecipi dell’amicizia di Dio».


Se, pertanto, la Liturgia, con le sue preghiere, i suoi riti, i suoi spazi, esalta le virtù dei Santi, lo fa anche la stessa Tradizione della Chiesa coi suoi pronunciamenti. Anche l’ultimo Concilio Vaticano ha sottolineato il ruolo privilegiato di Tommaso per gli studi nei seminari (Optatam totius), e i cardini fondamentali e indispensabili per la formazione sacerdotale mediante il nesso inscindibile tra Eucaristia e sacerdozio e tra contemplazione, spiritualità e azione pastorale (Presbyterorum Ordinis).


Espressioni come: «maestro di pensiero e modello del retto modo di fare teologia», «pioniere sul nuovo cammino della filosofia e della cultura universale», «apostolo della verità», sono invece incluse nella Fides et ratio (1998), l’enciclica di Giovanni Paolo II, che si presenta come l’ultimo documento nel quale a San Tommaso vengono tributati i dovuti onori, soprattutto per il suo equilibrio nella discussione tra fede e ragione. La dottrina del Doctor communis, dunque, ha valore perennis perché in questa dottrina egli ha sempre camminato, questa stessa dottrina egli stesso ha sistematizzato, perché è la dottrina della Chiesa. Ed è per questo che l’introito della Messa del Patrocinio cantava: «In medio Ecclesiæ, aperuit os eius – In mezzo all’assemblea (Dio) gli aprì la bocca»; proprio come un vero discepolo del ‘suo’ Santo Padre Domenico, egli “sta” in medio Ecclesiæ perché figlio della Chiesa.


Ma san Tommaso risplende pure nella società; e anche in quella attuale, nella quale i cosiddetti “modelli”, perfino per gli stessi scolari, sembrano svanire di volta in volta per approcciarsi ad altri che la pubblicità del momento offre, egli è «l’autentico modello per quanti ricercano la verità», la Verità di Dio.

E perché non poterlo immaginare, tra tanti testimoni della verità, presiedere una serena e rigorosa disputatio, ascoltando tutti per assimilare ciò che di vero riscontra, discernendo e distinguendo tra ‘modelli’ autentici e approcci effervescenti e appariscenti, solo per condurre la sua ennesima sintesi della sacra doctrina, senza la superbia di presentarsi come un perenne fabbricatore di proprie opinioni teologiche: «procura di comprendere ciò che leggi e ascolti; certificati delle cose dubbie e studiati di riporre nello scrigno della memoria tutto ciò che ti sarà possibile; non cercare, infine, cose superiori alla tua capacità», scriveva; e all’Offertorio della Messa si cantava: «veritas mea et misericordia mea cum ipso: et in nomine meo exaltabitur cornu eius – la mia verità e la mia misericordia saranno con lui; e nel mio nome egli crescerà in potenza» (Sal 88).


«Cerca di imitare gli esempi delle persone rette; non guardare chi è colui che parla, ma tieni a mente tutto ciò che di buono egli dice»: è inevitabile, allora, che neppure i maestri sono esenti dall’essere veri modelli. Cosa fa, ad esempio, un buon medico, se non possedere con puntualità le competenze del suo lavoro, e un’oggettiva conoscenza degli ambiti della medicina? Se, tuttavia, il medico esercita la sua professione partendo dalla frenetica realizzazione di suoi personali o presunti esperimenti, rischierebbe solo di provocare malanni ai propri pazienti.


Non pensiamo che questo modello sia così lontano da ciò che potrebbe accadere per un teologo o per un insegnante di teologia, se rimanesse convinto in opinioni e pareri totalmente soggettivi, tali da compromettere la “salute spirituale” dei fedeli. L’idea chiave è, dunque, la convinzione di non dover insegnare i propri modelli, ma il tesoro prezioso della dottrina della fede; da maestro, l’Aquinate conosce la dottrina, e non svariate opinioni o temi generici. E semmai nelle sue opere dimostra quest’apertura nei riguardi delle scuole a lui precedenti, che adeguatamente ha studiato e criticamente ha accolto laddove fosse necessario, è perché egli ci educa certamente a conoscere i pareri altrui, ma non in senso assoluto: bisogna andare al cuore oggettivo delle cose, rimanere saldi sulla conoscenza del fundamentum, affinché non accada che quello stesso medico, cominciando a speculare su teorie affascinanti e accattivanti, ma non ancora provate, ignori la conoscenza medica “di base”, e così procurare ulteriori danni.


La cifra caratteristica di ogni studente e di ogni giovane che muove i suoi passi nei meandri della storia è pertanto la fedeltà alla Verità. Se si ‘deve’ credere in Qualcuno che ci governa con la sua Provvidenza, in Qualcuno che è Persona e ha un nome, Cristo, e che dà senso al nostro essere “persone”, la fedeltà alla Verità di Dio, si alimenta con la preghiera, il fare esperienza di Dio, la contemplazione e naturalmente con lo studio della dottrina della fede, così da essere «sale della terra e luce del mondo», come proclamava il Vangelo della Messa.


Certamente questo sembra difficile in una cultura preoccupata di riempire i ‘silenzi’ con le parole, che vive tra le verbosità di un linguaggio spesso sofisticato e seducente, ma che rischia alla fine di lasciare a mani vuote, e ciò che manca tra i giovani è proprio l’ascolto e l’essere ascoltati. Ma al linguaggio bisogna a dare il giusto peso, insegna Tommaso, che non si dimostra ridondante e prolisso nella scrittura, e il suo parlare è sempre limpido, preciso e comunicativo della verità.

Tuttavia, giacché non tutti studiano teologia, sarebbe riduttivo relegare San Tommaso nella cerchia dei teologi! Anche di un giovane che studia le scienze o le arti, o quelli che lavorano, Egli è patrono, e ha certamente qualcosa da proporre, soprattutto sul senso della vita, che trova il suo termine fisso, il suo Fine ultimo, in Dio. Se tutti cercano la felicità, se tutti aspiriamo alla beatitudine, questa si trova solo nel Bene ultimo, il Bene supremo, che ha un nome: Dio. Ecco perché con Tommaso, la morale acquista uno statuto del tutto speciale: egli – amo ripetere sempre – non è il fautore di quella morale dell’obbligo e di divieti, diffusasi nella modernità, ma è maestro della Speranza cristiana: se si leggono le questioni morali, è impossibile non amare Dio, gli altri e sé stessi, e non è impossibile compiere atti buoni, poiché egli ne fa comprendere i limiti, i vantaggi, i rischi, le responsabilità, con l’unica tensione verso il Fine ultimo!


Se la teologia è via alla santità, allora perché la vita umana non può essere la via per la Patria beata? E se l’antifona alla comunione della Messa richiamava proprio la parabola dei talenti (Mt 25) e la beatitudine di quel servo che li ha fatti fruttificare, l’orazione post-communio subito dopo domandava a Dio: «virtutes roborentur interius, et actus exterius piæ operationis excrescant– le virtù siano fortificate in noi e al di fuori aumentino le azioni di una vita santa». Se per tutto c’è un fine, il Santo patrono degli studenti lo pone anche nello studio, che non bisogna farlo dipendere da particolari doti personali, da carismi o predisposizioni destinati a pochi; non è accumulo di dati: esso è caratterizzato da un’essenza spirituale che dice ordine a Dio, ed è la Carità.


Si tratta di un equilibrato dominio di sé, di discernimento, di rinuncia e di formazione della forza di volontà, poiché la scienza non può essere staccata dalla vita. In questo spirito Tommaso conclude: «seguendo queste norme, metterai fronde e produrrai utili frutti dove il Signore ti ha destinato a vivere. Mettendo in pratica questi insegnamenti, potrai raggiungere la mèta alla quale tu aspiri».


Di conseguenza, se da una parte credo sia stata certamente una perdita di rilievo per la tradizione domenicana l’abolizione di questa festa, d’altra parte Tommaso non può che essere confermato ancora come il Patrono delle scuole cattoliche e dei giovani: quale grande maestro, pedagogo, educatore che “trae fuori” il Bene e il buono; quale modello di umanità che insegna la via per la santità e la Beatitudine senza fine.


Per una “pastorale giovanile”, dunque… tomista… Auguri agli studenti, ai giovani cercatori del Fine ultimo!


fr. Giovanni Ferro, O.P.

198 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Comments


bottom of page