“Il Signore non guarda quello che siamo stati, ma quello che siamo" (fr. Joseph Lataste, O.P.)
Voglio iniziare questa mia testimonianza con un pensiero del domenicano M. Jean Joseph Lataste, perché in questi anni stando a contatto con i miei fratelli detenuti, alcuni dei quali fra i peggiori criminali, pedofili, stupratori, narcotrafficanti, ho potuto costatare che le persone cambiano e vanno guardate per quello che sono oggi, per la fatica che hanno fatto per rialzarsi dal loro dannoso comportamento. A volte neppure loro sanno il perché e il come sono arrivati a commettere determinate azioni.
Sono suor Grazia e vivo nel monastero in Pratovecchio provincia di Arezzo da 29 anni. Questi anni di vita monastica mi hanno insegnato ad allargare il cuore oltre le mura del monastero per arrivare ad abbracciare tutta l’umanità, questo è il cuore della mia vocazione. La preghiera è quel mezzo che mi unisce a Dio e ai miei fratelli, ed è per me una grande forza.
San Domenico è per me un maestro: innamorato della preghiera e della Parola di Dio, amava tutte le anime, desiderava la loro salvezza e per questo aperto a tutti. E’ questa sua caratteristica che mi ha spinto a scegliere di entrare in un monastero domenicano.
Entrai in monastero con il desiderio di Domenico: “la salvezza delle anime”. Nel giorno della mia Vestizione sentii forte dentro di me che avrei dovuto pregare per i detenuti, ma questo seme il Signore l’aveva già posto nel mio cuore anni prima ed è per questo che pur essendo monaca ho questo contatto epistolare con i detenuti.
Da piccola quando passavo vicino ad un carcere mi sentivo attratta ma non riuscivo a dare una spiegazione a questo mio sentire e non riuscivo neppure a capire perché. È a quindici anni, quando successe il rapimento dell’Onorevole Aldo Moro che il mio cuore fu ferito doppiamente. Ricordo che la notizia me la diede il mio professore di religione.
Non sapevo nulla di politica ma compresi che il fatto era molto grave, non solo per la famiglia dell’Onorevole ma per tutta l’Italia. Provai un grande dispiacere per quanto era successo. Dolore anche per chi aveva commesso questo fatto. Nel mio cuore rimasero incisi i nomi delle Brigate Rosse, sebbene io non conoscessi i loro volti.
Avrei voluto entrare nel cuore di quegli uomini per capire perché avevano compiuto un atto così grave e non riuscivo a darmi una spiegazione di questi miei sentimenti, dei quali non parlavo con nessuno. Sono venuta a contatto con il mondo carcerario tramite un frate francescano il quale girava per tutte le carceri d’Italia e leggendo una sua testimonianza su un quotidiano decisi di scrivergli due righe per dirgli che ammiravo quanto faceva e che avrei pregato per lui.
Ed è stato proprio fra Beppe a regalarmi il mio primo fratello detenuto e poi la famiglia spirituale si è allargata sempre più. Confesso che non è facile ma sento che devo proseguire e da questo comprendo che non viene da me ma è come una chiamata nella chiamata.
Sono in contatto con diversi detenuti per via epistolare e la cosa bella è che alcuni di loro avendo concluso il tempo di detenzione, una volta usciti dal carcere mantengono l’amicizia e vengono a trovarmi.
La mia esperienza con i miei fratelli detenuti? Dico sempre che, se li avessi conosciuti all’inizio della mia vita monastica, forse li avrei giudicati, ma ora non più. Vivere una vita con Dio, venire a conoscenza del Suo amore gratuito, non può che suscitare amore per i fratelli. Non ci sentiamo migliori degli altri ed io non mi sento tale quando penso ai miei detenuti.
Non penso alle colpe che hanno commesso, ma all’uomo che deve riconoscere il suo errore sorretto dalla speranza cristiana. Dobbiamo sempre dare fiducia e speranza anche a chi nella vita ha sbagliato, perché Dio non abbandona nessuno. Quando mi affidano un fratello e magari so già il motivo del suo arresto, mi sembra un mostro, ma quando arriva la sua prima lettera e leggo della sua vita, cadono tutte le riserve, crollano i pregiudizi ed il mio cuore si apre.
Quando una persona si racconta e mi dice le sue cose più intime, le sue paure e i suoi sentimenti, ho imparato a non giudicare, ma ad accogliere tutto come dono. Provo a calarmi nelle loro vite e mi chiedo: "Se io fossi stata nella loro situazione, come avrei agito?"
Questi miei fratelli li accolgo nell’intimo santuario della mia anima, come faceva san Domenico. Tra coloro con i quali sono in corrispondenza ci sono quelli che fanno un percorso di fede ed altri che, non credenti, sono però felici di avere un’amica monaca.
sr. M. Grazia Colombo, O.P.
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