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La mia malattia come occasione privilegiata

Ci sono parole che cambiano la vita, a volte molto brevi come un sincero “sì” e a volte un po’ lunghe e dure da digerire, come “sclerosi multipla”.

Avevo diciannove anni e ne avevo sentito parlare tante volte, ma solo quando all’improvviso mi si appannò la vista e quella parola fu rivolta proprio a me, mi resi conto che in fondo non avevo mai capito cosa significasse vivere col rischio di svegliarsi un giorno senza sensibilità agli arti o con delle paralisi o con qualunque altro imprevedibile problema né immaginavo che fosse possibile sentirsi stanchi fin dal primo mattino. Mi ero appena trasferita a Roma per iniziare gli studi universitari e mi ritrovavo a convivere con questa malattia.


Ma come farò a lavorare? Riuscirò ancora a fare una passeggiata? Potrò vivere da sola? Queste e tante altre domande affollavano la mia mente, ma trovai grande consolazione in un brano del Vangelo secondo Matteo:

Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?[…] Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena (Mt 6, 25-27.31-34).

Queste parole mi aiutarono ad allargare lo sguardo, a vivere ogni giorno come un dono, ad attendere con speranza e ad accogliere ogni cosa con fiducia (o almeno a provarci).


Un giorno, un sacerdote, dopo aver pazientemente ascoltato un mio sfogo, mi chiese: «ma Dio ti ama?». Sul momento mi infastidì parecchio questa sua domanda. Dai, chiunque sa che la risposta giusta è «sì, certo»! Eppure pian piano compresi che non era così scontata quella risposta, non perché non fosse vero ma perché crederlo realmente significa abbandonarsi a questo Suo grande amore, fidarsi di Lui. Finalmente riuscivo a pronunciare consapevolmente queste parole:


io sono tranquillo e sereno

come un bimbo svezzato in braccio a sua madre,

come un bimbo svezzato è l'anima mia (Sal 131, 2).

Certo, da una parte non è cambiato niente perché la malattia c’è ancora e ci sarà fino al giorno della mia morte, ma dall’altra parte è cambiato tutto perché non sono da sola: la Grazia del Signore mi dona la forza di affrontarla.


Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo […] quando sono debole è allora che sono forte (2 Cor 12, 9-10).


Ecco che la preghiera e la frequenza ai sacramenti, in particolare l’Eucaristia, si sono rivelati fondamentali: è Cristo stesso che comunica la sua vita. Così i momenti più difficili, quando i problemi fisici si ripresentano o quando lo scoraggiamento prende il sopravvento, diventano un tempo di grazia.

Come Gesù sulla croce, anche noi vorremmo gridare (cfr. Eb 5,7-9) e talvolta abbiamo solo lacrime da offrire, ma abbiamo anche la certezza che questa sofferenza non avrà l’ultima parola. Cristo risorto infatti annuncia la vita eterna, la speranza di una salvezza che ci viene offerta.


La malattia è per me occasione privilegiata per partecipare alle sofferenze di Cristo, nella speranza di poter partecipare anche alla sua gloria. E così, nonostante la sclerosi multipla e anzi proprio attraverso questa, con la grazia di Dio il cuore mi si riempie di gioia!


Alessandra Amato Gruppo Giovanile Domenicano "S. Tommaso d'Aquino" (Roma)

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