Ieri, 8 maggio, la Chiesa ha celebrato la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni e il giorno prima i frati Domenicani olandesi hanno presentato al pubblico una nuova opera del giovane artista Egbert Modderman. Il dipinto raffigura san Domenico che prima di entrare in una città si pulisce i piedi per poi mettersi le scarpe, e ciò perché i vescovi francesi avevano imposto ai missionari cattolici di indossare scarpe chiuse specialmente all'interno delle città, per potersi così distinguere dai predicatori eretici.
L'opera è non solo bella ma dice qualcosa di un momento preciso della vita del fondatore dell'Ordine domenicano. Egli appare qui fondamentalmente solo e il suo volto non sembra essere proprio sereno quanto piuttosto pensieroso. Nonostante ciò, si prepara a entrare in città per compiere la propria missione di predicare il Vangelo e contrastare l'eresia catara.
Le fonti ci dicono che il padre dei Predicatori predicò nel sud della Francia per poco meno di dieci anni, rientrando di tanto in tanto in Spagna, e che dopo la morte del suo amico e vescovo Diego rimase praticamente solo in questa sua attività. I primi biografi di Domenico parlano relativamente poco di questo periodo. Ci raccontano alcuni episodi belli ed edificanti - fa bene leggerli - ma si soffermano poco sul fatto che la missione del santo fondatore portò pochi frutti. Egli infatti non vide la conversione delle migliaia persone di cui parlano gli Atti degli Apostoli, come neanche i tanti nuovi battezzati frutto dell'apostolato dei missionari nelle Americhe.
Come si sarà sentito Domenico in quegli anni? Non poche volte, forse, avrà sentito il peso del fallimento o dell'insuccesso. Era un uomo che amava Gesù, si spendeva per lui, viveva una vita santa, ma i frutti erano pochi. Anche lui si sarà probabilmente chiesto: "Dove sto sbagliando? Cosa bisogna fare? Forse devo lasciare perdere?".
Guardare a questa fase della vita di san Domenico fa bene perché succede a tutti di non vedere sempre i frutti sperati, e sapere che uno sicuramente più santo di me visse le stesse difficoltà e sperimentò i propri insuccessi senza demordere... consola e dà speranza.
La giornata di preghiera per le vocazioni da poco celebrata è un qualcosa di molto bello perché tutti, con sincerità, chiediamo a Dio il dono di nuove e sante vocazioni matrimoniali, sacerdotali, alla vita consacrata, etc. Ciò che però mi lascia a volte perplesso - lo dico con grande sincerità e amore - è il modo ecclesiale di presentare la vocazione. La tendenza a dire che "tutto è bello", "tutto è gioia", dobbiamo ammetterlo, c'è stata e c'è ancora oggi. È vero: la chiamata di Dio, qualunque essa sia, è fonte di grande letizia e pace interiore, ma è spesso anche causa di difficoltà, lotte e incomprensioni prima, durante e dopo aver detto il proprio "sì".
Ci farà allora bene ricordare che la vocazione di Domenico non fu meno autentica durante i suoi momenti di sconforto, difficoltà e insuccesso: è sempre la stessa chiamata che come una pianta che cresce ha fasi diverse, tutte vere, tutte autentiche, tutte utili. Chiunque stia discernendo una qualsiasi vocazione sappia che l'insuccesso è un qualcosa che presto o tardi arriverà, e non sarà semplice sopportarlo... ma questo non significa che non sei fatto per sposarti, consacrarti, etc.!
Persino Gesù nel Getsemani, nel momento più alto della sua vocazione... fu solo! Dove erano, materialmente parlando, i frutti del suo annuncio del Regno di Dio? San Domenico stesso per molti anni fu in un certo senso "solo" e senza la consolazione di vedere i frutti del suo ministero! Eppure grazie al "sì" dell'uno e dell'altro sono scaturite due cose meravigliose: la salvezza da un lato e l'Ordine Domenicano dall'altro.
Ci doni Dio di essere sinceri nel nostro discernimento e di non fuggire davanti alle difficoltà e all'insuccesso che probabilmente incontreremo, ma di seguire l'Agello dovunque egli vada (Ap 14,4), Lui che, solo, dona pace, gioia e salvezza a chi lo cerca e a chi lo segue.
fr. Fabrizio Cambi, O.P.
Comments