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Isacco, il giovane della benedizione.4.giovani e bibbia

Il patriarca biblico Isacco, del quale abbiamo prima seguito la storia della nascita, del "sacrificio" simbolico e del matrimonio con Rebecca, riesce a comporre una sua famiglia con la nascita di due gemelli, Esaù e Giacobbe. Quest'ultimo era il gemello minore rispetto al fratello Esaù/Edom. Infatti, in caso di parto gemellare, la primogenitura andava a chi usciva per primo dal grembo della madre. Così, da Rebecca, moglie di Isacco, «uscì per primo un neonato rossiccio e tutto coperto di un manto di peli e fu chiamato Esaù/Edom [che significa "rosso"]. Subito dopo uscì il fratello che teneva in mano il calcagno di Esaù» (Genesi 25,25-26). II nome ebraico Ja'agob allude appunto al calcagno o alla pianta del piede (in ebraico 'ageb), ma anche alla successiva prevaricazione di Giacobbe nei confronti del fratello Esaù da lui "soppiantato" (Genesi 27,36).


Alla fine, però, attraverso un inganno divenuto celebre - e il racconto dell'evento è da leggere nel capitolo 27 della Genesi - egli riceverà dal padre Isacco la benedizione e, quindi, l'eredità del primogenito. Per l'autore biblico, che non si pronuncia sull'immoralità dell'atto, il risultato è chiaro: colui che, secondo il diritto umano, era l'ultimo e lo scartato, secondo il diritto divino diventa primo nella linea della storia della salvezza. Ormai è il giovane Giacobbe ad essere il destinatario della promessa divina, anche se peccatore.

Sarà una scena immersa nelle tenebre e nel mistero a porre il definitivo sigillo su questo giovane - esule e pellegrino come lo saranno i suoi discendenti - rendendolo l'eroe eponimo per eccellenza, cioè colui che imporrà il nome a Israele. Il testo, per molti versi emozionante, è quello presente nel capitolo 32 della Genesi (vv. 25-33). Lungo le rive di un affluente del Giordano, il fiume labbok, Giacobbe si scontra con un essere misterioso che la tradizione ha raffigurato come angelo ma che è segno di Dio stesso. E una lotta che ha affascinato la storia dell'arte e della letteratura, una sorta di "agonia", cioè un combattimento estremo: «Un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell'aurora. Vedendo che non riusciva a vincerlo, lo colpì all'articolazione del femore... Giacobbe gli disse: "Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!" ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!"».



Quando sorge il sole, Giacobbe s'avanza zoppicante, segnato nel corpo ma soprattutto colpito nella persona e nella sua stessa identità. Cambiare il nome significa mutare il proprio essere e destino. Il patriarca fino a quell'incontro drammatico recava il nome tribale di Giacobbe. Ora, invece, riceve il nuovo nome di "Israele" che sarà anche la designazione del popolo che discenderà da lui. Secondo la spiegazione simbolica che offre la Bibbia, in quel nuovo nome si condensa il mistero di quella notte: «Ti chiamerai Israele perché hai combattuto con Dio». Una storia giovanile cominciata in maniera piuttosto discutibile si conclude ora con un'investitura solenne che va ben oltre l'eredità tribale che quel giovane aveva cercato di strappare a suo fratello.

E quel fratello, Esaù/Edom, diverrà invece - come il suo antenato Ismaele - il capostipite delle tribù arabe e gli Edomiti o Idumei saranno un popolo ostile agli Israeliti, per cui nella Bibbia, che ignora il giudizio sul sotterfugio usato da Giacobbe, il nome di Edom/Esaù avrà su di sé una connotazione negativa. Il profeta Ma-lachia, infatti, non esiterà a mettere in bocca a Dio queste parole: «Ho amato Giacobbe e ho odiato [cioè, nel linguaggio semitico, "ho amato meno"] Esaù. Ho fatto dei suoi monti un deserto e ho dato la sua eredità agli sciacalli del deserto» (1,2-3).

 

(G. Ravasi, Cuori inquieti – I giovani nella Bibbia, 28 – 39.)

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