Ci sono dei luoghi che in qualche modo sembrano stimolare l’animo umano ad aprirsi al trascendente. Uno di questi è senz’altro il monastero di S. Maria delle Neve e San Domenico, nascosto tra i colli casentini. A poco a poco le sue mura, cariche di un silenzio più profondo, accolgono i diversi giovani che vengono per il ritiro di poco più di due giorni.
Nei cuori dei giovani frati domenicani, come anche in quelli dei più anziani e delle consorelle, riaffiora la domanda che è solita presentarsi all’inizio di eventi del genere: cosa abbiamo da offrire a questi ragazzi? Ma soprattutto: come offrirlo? La sala del refettorio nel mentre si è riempita di quasi venti persone; c’è anche qualche giovane coppia. Qualcuno inizia a rompere il ghiaccio, e il mosaico delle diverse personalità comincia ad apparire; tuttavia uno sguardo più attento può rivelare una sfumatura comune: è tutta gente pungolata da un desiderio di Dio, di conoscerlo maggiormente e di rendere più stretto il rapporto con Lui. È gente che cerca profondità spirituale.
Al mattino, la prima meditazione offre, quasi provvidenzialmente, le prime indicazioni per assecondare questo desiderio: la preghiera è presentata come il luogo in cui crescere nel rapporto con Dio. Essa è di diversi tipi, e non tutti abbiamo bisogno dello stesso, ma ad ogni modo ci permette di porci dinanzi a Dio, e di lasciarci attirare a Lui. Che grande cosa è dunque invitare una persona alla preghiera! Se un domenicano deve predicare la Verità, e la Verità è Cristo, forse la prima cosa da fare è, come il Battista, additare direttamente la sua persona e la sua sequela come unica via di salvezza e di compimento.
Al termine della meditazione ognuno si apparta per interiorizzare le cose dette e provare a viverle. Tuttavia qua e là si intravede qualcuno che si avvicina a un frate, qualcun altro a una monaca. Si esprimono dubbi e inquietudini, e, nel confrontarsi, a questi viene incontro il carisma domenicano, che cerca di manifestarsi nelle parole degli interlocutori con la placidità e chiarezza che vengono dalla fede e dalla sua ragionevolezza.
Nell’aria che accoglie le loro parole però, si avvertire la presenza di un rischio: c’è il pericolo che quelle parole si presentino facilmente vere, sì, ma secche. Forse ciò che può riempirle della forza della grazia che smuove i cuori è l’esserne ripieni così da vederla traboccare naturalmente nei discorsi e nei gesti. Un giovane che cerca il Regno di Dio crederà più facilmente a un testimone che ne manifesta i frutti: carità, gioia, pace, mitezza.
Dopo aver condiviso le loro riflessioni, i convenuti si avviano verso il refettorio con una certa soddisfazione. Durante il pranzo una fraternità ancora più calorosa continua il "lavoro" della predicazione. Momenti del genere, penso siano tra i più critici: tutti infatti conosciamo la tentazione di vivere la convivialità come un momento estraneo alla vita spirituale, quasi come una ricreazione tra una lezione e l’altra, e ciò purtroppo ci può spesso condurre a mettere al centro noi stessi, intrattenendo relazioni che in effetti non sono fondate sulla carità. Si può essere vicini all’altro in maniera autentica solo quando tra noi e lui c’è Dio.
Giunta la domenica pomeriggio, con gioia e dispiacere ci si saluta. In diversi ringraziano, e ribadiscono come sono contenti per l’esperienza vissuta. Dando uno sguardo d’insieme, non vedo nulla di nuovo. La folla dei giovani non aspetta altro dall’Ordine domenicano che quello che deve sempre cercare di essere e offrire: testimoni che hanno sperimentato il Signore, apostoli che lo annunciano.
fr. Matteo G. M. Peddio, O.P.
Gruppo giovanile domenicano "S. Tommaso d'Aquino"
تعليقات