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Il deserto di Agar. 1. Le donne della Bibbia.


Dal libro della Genesi


21,8-21 «Ella se ne andò e si smarrì per il deserto di Bersabea. Tutta l’acqua dell’otre era venuta a mancare. Allora depose il fanciullo sotto un cespuglio e andò a sedersi di fronte, alla distanza di un tiro d’arco, perché diceva: “Non voglio veder morire il fanciullo!”. Sedutasi di fronte, alzò la voce e pianse. Dio udì la voce del fanciullo e un angelo di Dio chiamò Agar dal cielo e le disse: “Che hai, Agar? Non temere, perché Dio ha udito la voce del fanciullo là dove si trova. Alzati, prendi il fanciullo e tienilo per mano, perché io ne farò una grande nazione”. Dio le aprì gli occhi ed ella vide un pozzo d’acqua. Allora andò a riempire l’otre e diede da bere al fanciullo. E Dio fu con il fanciullo, che crebbe e abitò nel deserto e divenne un tiratore d’arco. Egli abitò nel deserto di Paran e sua madre gli prese una moglie della terra d’Egitto»


Nel deserto, luogo in cui viene a mancare l’acqua e ogni forma di sussistenza, ecco una madre sedersi a un tiro d’arco dal proprio figlio morente, come descritto nel testo di apertura.


Agar è stata mandata via con il figlio Ismaele verso il deserto da Abramo, su richiesta della moglie Sara. Un solo pane e un otre d’acqua sono gli elementi ricevuti per il proprio sostentamento. Cosa fare con questi due soli elementi nel deserto? Il caldo, la solitudine, il paesaggio sempre uguale del deserto e la fine delle piccole scorte sono motivo di smarrimento per Agar. Ismaele sta morendo. Agar non può vedere la morte del proprio figlio, ma come ogni madre condivide l’arte del sedersi di fronte al frutto del proprio ventre, anche quando è preso dai morsi della morte. Ella allora depone Ismaele sotto un cespuglio. Il verbo «deporre» nella Scrittura è spesso utilizzato per indicare la posizione dei defunti o comunque per indicare qualcuno che è morto.





Ismaele sta morendo e Agar non può nulla per evitare questa morte. L’unica cosa che può fare è «esserci» e cercare di rendere la morte del figlio meno crudele, lasciandolo all’ombra di un cespuglio. Questo gesto di incredibile tenerezza, accompagnato dalla «voce delle sue lacrime», scioglie il cuore di Dio! Agar alza la voce e piange. Il pianto della madre e il pianto del figlio diventano un unico appello a Dio. E Dio non resiste: «Alzati, prendi il fanciullo e tienilo per mano, perché io ne farò una grande nazione».


La straniera, la schiava, la donna senza diritti e madre disperata è priva di tutto, ma resta aperta all’amore. E la prontezza di Dio è disarmante: anche il figlio della schiava diventerà una nazione, perché è discendenza di Abramo! Dio è fedele alla sua promessa! Agar tocca con mano la fedeltà di Dio e le si aprono gli occhi. Attraverso la sua disponibilità alla vita, Dio le apre gli occhi per vedere il pozzo e dare l’acqua a suo figlio. Il testo biblico non ci dice che Agar beve l’acqua insieme al figlio, ma che fa bere il figlio per salvarlo. Nel deserto della sua debolezza, Agar incontra la potenza di Dio e diviene promotrice di vita per una nazione, secondo la fedeltà di Dio.


Penso che il messaggio di salvezza che la Scrittura vuole donarci oggi sia proprio quello di restare aperti all’amore e al dono. È importante lasciarsi aprire gli occhi del cuore per vedere cos’è in concreto che può davvero far vivere l’altro. Siamo tutti chiamati a capire in che modo si può rispondere veramente al bisogno dell’uomo di oggi. Agar ci indica la strada: restare aperti all’amore e all’incontro con Dio per dare l’acqua a colui che sta morendo di sete. In definitiva, esserci secondo il cuore di Dio.


Filomena Fabri

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