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È tempo di ritiro: saper “morire” per vivere meglio

Durante lo scorso fine settimana, dal 11 al 13 marzo, la Gioventù Domenicana della Provincia Romana di Santa Caterina da Siena ha vissuto un bello e necessario ritiro quaresimale insieme alle monache del Monastero di Santa Maria della Neve e San Domenico in Pratovecchio (Toscana). Tra i giovani hanno partecipato alcuni ragazzi dei gruppi Santa Caterina da Siena (S. Maria del Rosario in Prati - Roma) e Sant'Antonino di Firenze (San Marco e Santa Maria Novella - Firenze).



Anzitutto suor Giovanna del monastero domenicano ha parlato della Passione di Cristo, in particolare attraverso l'immagine di un vaso di argilla: è infatti come se noi diventassimo un "contenitore" di Dio per mezzo di Cristo. Anche se la nostra anima è frantumata dal peccato, il sacrificio redentore di Cristo sulla croce ci ripara e restaura. Padre Rinaldo, poi, ha fatto una profonda esposizione sul difficile tema della morte di Cristo. Infine, padre Fabrizio ha approfondito il tema della discesa di Gesù agli inferi —tema classico del Sabato Santo— in collegamento con l’episodio della risurrezione del Signore. Nelle Sante Messe, animate dai canti dagli strumenti, hanno predicato ancora padre Fabrizio sulla perfezione cristiana e padre Gabriele sulla trasfigurazione.


Noi tutti che abbiamo partecipato abbiamo avuto modo di vivere momenti tra loro molto diversi: meditazione, preghiera, musica, amicizia, deserto (nel senso di intimità con Dio, non di noiosa solitudine)... un ritiro è infatti il momento ideale per ritrovare se stessi. Non è che perdiamo la nostra identità ogni giorno, ma è vero che il trambusto e la fretta possono farci dimenticare le cose importanti della vita. Senza una buona autoconoscenza —la conoscenza di se stessi— è molto difficile intraprendere un cammino di crescita spirituale e di maturità umana. Un ritiro è allora un'inversione di tempo in eternità: uno «stop» nella nostra vita quotidiana per ricentrarsi sull'essenziale, e quindi rinnovare la nostra vocazione e vita interiore.


In particolare, vorrei approfondire quello che è il rapporto tra la morte e la vita, tema molto appropriato per questo periodo quaresimale, sempre in vista della resurrezione di Gesù. Il rapporto tra la vita e la morte è un paradosso: nessuno vuole lasciare questo mondo, perché non siamo fatti per “scomparire nell'oblio”, ma per vivere, e vivere in pienezza. E infatti confidiamo in Cristo che ci apre la strada verso il paradiso con la sua morte. Questa terribile morte sulla croce ci porta la gioia della risurrezione. Per il cristiano la morte diventa vita eterna. Questo è il grande mistero!



Applicata alla vita quotidiana, la saggezza della croce ci insegna che vale la pena imparare a “morire” in anticipo, e così sperimentare più profondamente le cose che viviamo nel tempo. L'eternità comincia quando "anticipiamo" quel momento finale di morte e lo trasformiamo in frutti di vita: sacrificio dei desideri superficiali, saper lasciare indietro dei progetti senza speranza, oppure far maturare relazioni personali guardando al futuro e guarendo il passato. Perché dall'esperienza di Dio sappiamo che la vita vera e piena può cominciare qui e adesso. Non è che cerchiamo la sofferenza per se stessa: questo non è cristiano né umano. Piuttosto, sorprendentemente, ogni croce personale, illuminata dalla fede, permette di guardare la vita in una prospettiva molto più alta.


Gesù ci aspetta con doni incredibili ovunque ci sia un po’ di fraternità, pace e silenzio. Anche in mezzo alla sofferenza, quando sembra che Dio taccia: «Una palabra habló el Padre, que fue su Hijo, y éste habla siempre en eterno silencio, y en silencio ha de ser oída del alma» (San Juan de la Cruz).


—Fai sempre citazioni di San Giovanni della Croce?

—Sì.


fr. Bernardo Sastre Zamora, O.P.

Gruppo S. Caterina da Siena (Roma - Prati)


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