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Predicatore mariano: San Tommaso D'Aquino.

Di conseguenza, per narrare la generazione di Maria non è sufficiente l'intelligenza umana. Invochiamo, dunque, la grazia dello Spirito Santo, quella grazia per mezzo della quale Maria fu santificata, e preghiamo lo Spirito divino perché mi dia qualcosa da dire.

(S. Tommaso d’Aquino, Sermone Germinet Terra)


S. Tommaso d’Aquino è conosciuto come uno dei più grandi — se non il più grande tra i teologi e filosofi della storia, il doctor communis della Chiesa: un onore ben meritato. Tuttavia, c’è un aspetto non meno importante di questo maestro che spesso passa inosservato: quello di predicatore.

Come Maestro in Sacra Pagina, oltre che commentare la Sacra Scrittura e disputare le questioni teologiche, parte del suo compito era di predicare (1.) In tal modo, nel medioevo, lo studio e l’insegnamento della teologia avevano uno sbocco pastorale-evangelico naturale,(2) e il maestro medievale non viveva mai distaccato dall’impegno più rilevante della Chiesa fin dalle sue origini: l’evangelizzazione (3). Inoltre, S. Tommaso era un Domenicano, cioè un frate Predicatore: questo compito aveva, quindi, un’importanza ancora più grande che deriva dalla natura stessa della sua vocazione.

Purtroppo non ci sono pervenuti tanti dei suoi sermoni. Ma fra quelli che abbiamo, ce ne sono due che riguardano la festa odierna della Natività della Beata Vergine Maria: Lux orta est — diviso fra un sermone del mattino, e una conferenza della sera — , e Germinet Terra — tenuto durante l’ottava della Natività, e la vigilia dell'Esaltazione della Croce; in tal modo abbiamo un sermone del mattino su Maria, e una conferenza vespertina sulla Croce.

Nel primo sermone, Tommaso prende come punto di partenza un versetto del salmo 96: “Una luce si è levata per il giusto, gioia per i retti di cuore” (Sal 96, 11). Anzitutto, Tommaso ci presenta come la nascita di Maria sia stata prefigurata nell’Antico Testamento in diversi modi. Per esempio, la sua contemplazione è prefigurata dallo spuntare di un germoglio da una radice: così come un germoglio, quando spunta dalla terra, si indirizza subito verso il cielo, così, la Beata Vergine “trascese le presenti realtà terrene, ed ebbe il cuore elevato verso le realtà celesti”(4).


Il resto del sermone del mattino si gioca sul paragone di Maria con la luce. In primo luogo, è messo in rilievo il rapporto con il suo Figlio Divino: Maria è luce perché da lei viene Gesù, la luce del mondo (Gv 8, 12). Poi, in un passo in cui Tommaso non riesce a nascondere il suo tenero affetto per la Madre di Cristo — un affetto degno di un frate appartenente ad un Ordine che, secondo la tradizione, nasce dalle preghiere di Maria (5) — , i paragoni si moltiplicano in un elenco di lodi: «Noi constatiamo il fatto che la luce corporea è origine di gioia, e guida dei viandanti e dei pellegrini, scaccia le tenebre, diffonde la propria somiglianza, è madre delle grazie celesti, è la più bella fra le creature, è piacere e consolazione per gli occhi. Tutto ciò si trova nella Beata Vergine»(6).

Dice Gesù: “Camminate mentre avete la luce, perché non ci sorprendano le tenebre” (Gv 12, 35). Per Tommaso, questa luce è Maria, che è ‘guida dei viandanti.’ Dobbiamo quindi camminare con questa luce, per evitare le opere delle tenebre(7). Inoltre, ella è “strada dei giusti che procede come la luce” (Pr 4,18), cioè lei è la via che dobbiamo seguire, perché ben indirizzata a motivo della rettitudine della sua vita. Come la luce che scaccia le tenebre, con la presenza di Maria le tenebre del vizio vengono cacciati via, introducendo la luce della grazia, una luce che viene diffusa a tutti (8).


Se al mattino Tommaso si è focalizzato sull’onore della Beata Vergine, la conferenza della sera prende una svolta esortativa. fr. Jean-Gabriel Pophillat, O.P.Nel versetto del Salmo citato infatti, leggiamo che questa luce si è levata per i “retti di cuore”: la luce di Maria dà gioia, ma soltanto ai retti di cuore, mentre ai malvagi questa luce risulta odiosa (9). Allora, se vogliamo partecipare alla gioia di questa festa, dobbiamo capire chi siano i “retti di cuore”, e cercare di imitarli. Per essere retto, l’uomo deve possedere anzitutto una rettitudine interiore, cioè nel suo intelletto e nel suo affetto. Come un uomo può essere retto nel suo intelletto? Il nostro intelletto è stato creato per conoscere la verità: quindi, la sua rettitudine deriva dalla verità. Ma, la Somma Verità è Dio stesso, che è al di là delle nostre capacità: per questo, ci vuole il dono della fede, che è la “luce spirituale che ci permette di conoscere Dio e le cose divine”. Quindi, la fede ci permette una certa conoscenza della Somma Verità, ed è questa conoscenza che ci rende retti nell’intelletto (10).

Aggiungo che questa conoscenza, seppur ancora imperfetta, tuttavia è pregustazione del cielo, come ci ricorda s. Paolo: “Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia” (1 Cor 13,12). Per questo, Tommaso descrive la fede come la virtù che dà inizio alla vita beata in noi (11). Possiamo capire, allora, le parole di Elisabetta, parlando di Maria: “Beata colei che ha creduto” (Lc 1,45). La beatitudine e la felicità di Maria derivano dalla sua fede: anche noi possiamo avere questa felicità, se La imitiamo nella sua fede!

Come si fa a essere retti nell’affetto? Quando la volontà è conformata alla volontà divina. (12) Ancora una volta, troviamo in Maria l’esempio di questa rettitudine: è lei che, alle parole dell’angelo Gabriele rispose senza indugio “sia fatto di me secondo la tua parola” (Lc 1,38) inoltre, è lei che, alle nozze di Cana, ci ha chiesto di “fare tutto ciò che vi dirà” (Gv 2,5) Per questo, S. Tommaso si riferisce a lei, nel sermone Germinet Terra, come “Maestra dell’obbedienza” (13). Quella di Nostra Signora, però, non era un’obbedienza cieca e meccanica; neppure un’obbedienza dovuta al semplice timore di una qualche punizione divina. L’obbedienza di Maria era perfetta, perché derivata dall’amore. Dice Tommaso che la carità produce un’unione di affetto: l’altro è amato come se stesso, e uno vuole ciò che vuole l’altro come se fosse la propria volontà (14). Pertanto, per avere la rettitudine dell’affetto, ci vuole il dono della carità, che ci unisce a Dio, conformandoci alla sua volontà (15). E se l’intelletto è stato creato per conoscere la verità, la volontà è fatta per fare il bene: conoscendo Dio, l’intelletto trova il suo compimento; facendo la sua volontà, la volontà trova il suo compimento. Unito a Dio, la Somma Bontà, l’uomo trova il suo pieno compimento e felicità.

La rettitudine dell’intelletto e affetto, poi, porta ad una rettitudine esteriore. Dice Tommaso: “Quando c’è la rettitudine nell’uomo interiore, allora c’è la rettitudine nell’uomo esteriore”. Per Tommaso, corpo e anima sono sempre intimamente uniti: un uomo che possiede la fede e la carità nel suo interiore, cerca di vivere e agire rettamente: nel suo guardare, nel suo parlare, nel suo camminare.(16)

Alla fine della sua conferenza, Tommaso ci mostra cosa fanno concretamente i retti di cuore: correggono la loro vita attraverso la penitenza, amano Dio, e rendono grazie a Lui (17). Non possiamo prendere questi come consigli per noi? Se la Beata Vergine è la madre di tutti i cristiani, allora oggi è in realtà il compleanno di nostra Madre. Per festeggiarlo pienamente, e per godere della luce gioconda che è Maria, cerchiamo di essere retti di cuore. Se prima non abbiamo amato Dio e il prossimo come dovuto, questo è il momento di cambiare. Impariamo ad amarlo, e finalmente, godendo di questa festa, possiamo rendere grazie a Lui per questo grande dono che è Maria.

Siano lodati Gesù e Maria!

fr. Jean-Gabriel Pophillat, O.P. Convento S. Maria sopra Minerva, Roma




 

1. cfr. Pietro il Cantore, Verbum adbreviatum 1, in J. P. Torrell, Amico della Verità: Vita ed Opere di Tommaso d’Aquino, Edizioni Studio Domenicano, 2017, p. 128.

2. cfr. C Pandolfi, Introduzione Generale, in Tommaso d’Aquino, I Sermoni e Le Due Lezioni Inaugurali, C. Pandolfi e G. M. Carbone (a cura di), Edizioni Studio Domenicani 2003, p. 10.

3. Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor, n. 106.

4. Lux orta est, in Tommaso d’Aquino, I Sermoni e Le Due Lezioni Inaugurali,p. 254.

5. cfr. Geraldo di Frachet, Vitae fratrum, P. Lippini (a cura di) Edizioni Studio Domenicano 1988, p. 18.

6. Lux orta est, p. 256.

7. Lux orta est, p. 256.

8. Lux orta est, p. 257.

9. ibid. p. 259.

10. ibid. p. 260.

11. Summa Theologiae, II-II, q. 4, a. 1.

12. Lux orta est, p. 260.

13. Germinet Terra, in Tommaso d’Aquino, I Sermoni e Le Due Lezioni Inaugurali,p. 269-270.

14. Summa Theologiae, II-II, q. 29 a. 3.

15. Lux orta est, p. 260.

16. ibid. p. 263.

17. ibid. p. 263-264.

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