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Gesù giovane laborioso 9. #bibbiaeigiovani

  • Immagine del redattore: Domini Canes
    Domini Canes
  • 6 mag
  • Tempo di lettura: 3 min

 Che professione ha esercitato il giovane Gesù?

Passiamo ora a un aspetto del periodo giovanile vissuto da Gesù. E da tempo che, accanto alle varie analisi storico-critiche e letterarie, i Vangeli sono sottoposti anche a ricerche di taglio sociologico nel tentativo di definire la figura del Gesù storico nel suo contesto socio-economico. In questa operazione si è distinto un professore dell'università tedesca di Heidelberg, Gerd Theissen, le cui opere sono state tradotte anche in italiano (ad esempio, Sociologia del cristianesimo primitivo, Torino, Marietti, 1987 e L'ombra del Galileo, Torino, Claudiana, 1990). Gesù era vissuto in un ambito prevalentemente agricolo che sentiva il peso delle varie oppressioni fiscali (romane e locali: si ricordi la frequente presenza dei "pubblicani", gli esattori, nei Vangeli) e che era legato a un territorio piuttosto aspro e di scarsa produttività.



Gesù dal punto di vista sociale è presentato da Marco (6,3) come un tékton, qualifica che Matteo (13,55) assegna invece al padre legale, Giuseppe. Che cosa indica quel vocabolo greco? Di per sé rimanda o al falegname o al carpentiere, con prevalenza per la prima accezione, come ha inteso anche la tradizione successi-va. In realtà la distinzione tra le due professioni era piuttosto blanda, anche perché, in un livello sociale basso com'era quello dell'Israele di allora, le specializzazioni non esistevano.

A questo punto, per definire lo statuto socio-economico di Gesù, bisogna evitare gli eccessi interpretativi ideologici.

Da un lato, c’è chi ha parlato di una povertà estrema: in realtà, lo standard generale di vita era allora modesto e quindi le esigenze erano minime e Gesù da collocare nella classe comune, piuttosto omogenea, che aveva mezzi di sussistenza sufficienti, anche se scarsi. Nauturalmente non mancava l'esistenza di una fascia di miseria, come è attestato anche nel racconto dei Vangeli (si pensi al povero Lazzaro della parabola del ricco epulone). D'altro lato, c'è chi ha voluto ricondurre lo statuto di Giuseppe e di Gesù a quello della borghesia: con qualche immaginazione si è pensato a loro come conduttori di un'impresa di costruzioni o di artigianato, ricorrendo a una parola aramaica, naggara' potrebbe essere sottesa al citato tékton. Quel termine semitico, oltre al carpentiere e al falegname, potrebbe indicare anche il capomastro.

In realtà, questa teoria un po' fantasiosa è smentita proprio dall'ironia dei compaesani di Gesù sul suo stato di tékton, considerato come basso rispetto alla fama che ormai avvolgeva il personaggio («Non è costui il falegname?»). Tenendo conto di quanto si è detto finora, è facile capire che durante il suo ministero pubblico Cristo non aveva particolari capitali che gli permettessero la sopravvivenza, ma si adattava alla prassi dei predicatori ambulanti di allora che potevano usufruire sia della tradizionale norma dell'ospitalità (tant'è vero che ci si stupisce quando si hanno reazioni di rigetto: si leggano, per contrasto, Matteo 10,40-42 e Luca 9,52- 55), sia del sostegno dei discepoli.

Pietro e Andrea o Lazzaro, Marta e Maria, ad esempio, offrono accoglienza e sostegno, essendo probabilmente più benestanti degli altri seguaci di Gesù, così come le donne che lo seguivano «assistevano» Gesù e i suoi discepoli «con i loro beni»: non si dimentichi che tra esse c'era anche una nobildonna, «Giovanna, la moglie di Cusa, economo di Erode» (Luca 8,3). D'altronde, come si diceva, il tenore comune di vita era tale da non creare esigenze particolari, così come era stata costante la messa in guardia di Gesù nei confronti della ricchezza e l'esaltazione del distacco dai beni, al punto tale che lo stesso Cristo poteva dichiarare di non possedere neppure una pietra da usare come cuscino per la notte (Matteo 8,20).

 

G.Ravasi, Cuori Inquieti, 161-163

 
 
 

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